"Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?"
"Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?"

CHI E’ SENZA PECCATO SCAGLI LA PRIMA PIETRA

Era Lesbia che tradiva Catullo o viceversa? (di Andrea Martinengo, 3BST a.s. 2022/23)

La letteratura latina ci presenta Catullo come un uomo distrutto dai sentimenti d’amore che provava nei confronti della sua amata Lesbia, la quale soleva tradirlo con numerosi altri uomini. Ma è davvero così o sono le fonti che hanno creato questo ritratto di Catullo?

Per tentare di scoprirlo, torniamo indietro di due millenni, nell’antica Roma…

Chi era Catullo?
Gaio Valerio Catullo (84 a.C.-54 a.C.), poeta originario di Verona, fu il maggiore esponente della cerchia dei poetae novi o neoteroi (“poeti nuovi”, così li definisce dispregiativamente Cicerone), le cui opere letterarie erano caratterizzate da uno stile del tutto innovativo: nella loro brevità (brevitas) si coglievano tuttavia l’estrema eleganza poetica e l’accurato lavoro di rifinitura (labor limae).

Ecco che, per comprendere meglio la sua figura, potremmo immaginarlo (grossolanamente, sia chiaro) come un “Petrarca dell’antica Roma”, non solo per la cura stilistica, ma anche per alcuni temi trattati nelle proprie opere: l’amore e il dissidio interiore.

L’amore per Lesbia

Catullo, infatti, compose decine di poesie dedicate alla sua donna amata, Lesbia, ma non scrisse solamente sdolcinate dediche d’amore.

Nella sua raccolta di poesie (il Liber catulliano), emerge una doppia personalità di Catullo (proprio come in Petrarca!): la prima desidera un rapporto coniugale con Lesbia, la seconda invece è delusa dal comportamento adulterino della donna.

Effettivamente, il rapporto tra Lesbia e il poeta è sempre stato segnato da alti e bassi (più bassi che alti, a dirla tutta). Si conobbero a Roma, quando Catullo vi giunse per incontrare le figure autorevoli del tempo, ma, dopo un breve periodo, il loro sentimento cessò di esistere.

In realtà, non sappiamo nemmeno se Lesbia volesse davvero intessere un rapporto d’amore con Catullo o se per lei il poeta fosse solo una delle tante scappatelle…

Lesbia, una donna controversa

Per la precisione, Lesbia era un nome fittizio (che più avanti nella letteratura italiana si chiamerà senhal) attribuito con buona probabilità a Clodia, la stessa descritta, anzi diffamata, da Cicerone in una delle sue più brillanti orazioni, la Pro Caelio.

È proprio Cicerone, insieme ad altre fonti minori e dicerie del tempo, a dare un ritratto di Clodia: pare fosse una donna intelligente, di cultura (dunque di famiglia nobile) e intraprendente, soprattutto in amore…

Su questa sua dissolutezza morale si scaglia l’ira di Cicerone: sosteneva che Clodia fosse soprannominata quadrantaria (“che vale un quarto di asse”) poiché il quadrante era il compenso minimo per una prestazione sessuale; si diceva addirittura che possedesse un giardino sul fiume Tevere solamente per portarvi ogni giorno un nuovo amante; e ancora, girava voce che avesse avuto rapporti incestuosi con il fratello.

Insomma, non fu la persona più fedele al mondo ma, d’altra parte, sappiamo che anche Catullo si concesse qualche avventura romantica.

Catullo tradì mai Lesbia?

Ebbene sì, anche Catullo, forse per ripicca, forse perché gli insulti nei suoi carmi non la ridicolizzavano abbastanza, tradì Lesbia. Nel Liber, infatti, vi sono dei componimenti che ci forniscono “preziosi” indizi sulla vita amorosa del poeta. Il primo è il Carmen 110 nel quale, secondo una probabile interpretazione, Catullo racconta di essere stato ingannato da una meretrice, una certa Aufilena, poco prima di consumare un rapporto sessuale. Non a caso Catullo inveisce contro di lei:
Tu, quod promisti, mihi quod mentita inimica es,

quod nec das et fers saepe, facis facinus..

Ma tu prometti sapendo di mentire: non sei un’amica,

prendi solo e non dai[1]: sei una vergogna.
(Liber, Carmen 110, Versi 3-4)

Ma Aufilena, come si può dedurre dai versi appena riportati, fu ben presto sostituita da Ipsitilla, alla quale invece Catullo dedicherà versi al limite del censurabile:
Amabo, mea dulcis Ipsitilla,

meae deliciae, mei lepores,

iube ad te veniam meridiatum.

Et si iusseris, illud adivuato,

ne quis liminis obseret tabellam,

neu tibi lubeat foras abire,

sed domi maneas paresque nobis

novem continuas fututiones.

Verum si quid ages, statim iubeto:

nam pransus iaceo et satur supinus

pertundo tunicamque palliumque

Ti amerò, mia tenera Ipsitilla,

mia gioia, mia amata,

fammi venire da te nel pomeriggio.

E se lo farai, aiutami così,

non lasciare chiusa la porta,

nè ti piaccia sgusciar fuori,

piuttosto resta in casa e preparati per

giacere nove volte assieme.

A dire il vero, dai, se lo vorrai, comandalo all’istante: infatti io sono qui, dopo pranzo, sazio e disteso, sfondo tunica e mantello.
(Liber, Carmen 32)

In breve, Catullo non ci aveva pensato due volte a lasciarsi alle spalle Aufilena.

Tutt’altro: anzi, dedicò un carme ad un’altra persona a lui cara, questa volta un maschio, Giovenzio.

Mellitos oculos oculos tuos, Iuventi, si quis me sinat usque basiare, usque ad milia basiem trecenta nec numquam videar satur futurus, non si densior aridis aristis sit nostrae seges osculationis.

Melliflui occhi gli occhi tuoi, Giovenzio, se mai mi si permettesse di baciarli sempre, sempre fino a trecentomila volte li bacerei e non mi sembra che sarei mai sazio, nemmeno se la messe del nostro baciarci fosse più densa delle spighe mature.

(Liber, Carmen 48)

Forse Catullo, inconsapevolmente, aveva appena dato vita alla comunità LGBTQIA+. Ad ogni modo, notiamo che dedica versi simili a quelli scritti in onore di Lesbia nel Carmen 5:

Da mi basia mille, deinde centum,

dein mille altera, dein secunda centum,

deinde usque altera mille, deinde centum,

Dein, cum milia multa fecerimus,

conturbabimus illa, ne sciamus,

aut ne quis malus invidere possit,

cum tantum sciat esse basiorum.

Dammi mille baci, poi altri cento,

poi altri mille, poi ancora cento,

poi senza fermarti altri mille, poi cento.

Infine, quando ne avremo dato a migliaia,

mescoleremo il conto, per non sapere,

o perché nessun malvagio possa invidiarci,

scoprendo l’esistenza di così tanti baci.
(Liber, Carmen 5, Versi 7-13)

Si evince che, in entrambi i casi, le coppie si siano scambiate tanti baci da non riuscire a controllare la travolgente passione d’amore e questo potrebbe far pensare che anche Catullo, nella sua breve vita, abbia comunque sperimentato l’amore in tutte le sue sfaccettature.

Dunque, qualcuno avrebbe dovuto ricordare a Catullo “il Censore” che, giudicando la licenziosità di Lesbia, non stava facendo altro che rimproverare sé stesso.

Sitografia:

Una donna fuori dal coro: Clodia – TRIBUNUS

Cicerone – La Pro Caelio, riassunto – Studia Rapido

Scandalosa Clodia: la Lesbia di Catullo – Vanilla Magazine

Carme 110 di Catullo: traduzione, testo latino, analisi e commento –

Carme 32 (Catullo): traduzione in italiano e testo originale latino

CATULLO – CARME 48 


[1]Il verbo “dare” allude, secondo la traduzione presa in considerazione, alla prestazione sessuale.